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Gente di Palestina

18 Maggio 2020

Claudio Lombardi

Gente di palestina - Claudio Lombardi

Come molti giovani autori (Claudio si è avvicinato da poco alla fotografia) è preso dalla voglia di imparare, di fare, di raccontare; nel suo caso aggiungo un certo candore nel guardarsi intorno, inaspettato vista la maturità del passaporto.
E’ probabilmente questa la nota caratteristica delle sue fotografie: la freschezza e l’immediatezza. Senza di esse non avrebbe potuto raccontare così la gente di Palestina, non avrebbe potuto cogliere la disarmante quotidianità di chi normalmente vive fra canne di fucili, eroi e macerie. Tutto ciò diviene però quinta nelle sue immagini, poiché i soggetti sono gesti probabili e riconoscibili, come un sorriso, il gioco nel vicolo, la fuga sotto l’acquazzone, lo stare del vecchio.
Abbiamo voluto un filo, per presentare un lavoro ben più ampio, che proponesse la struttura di una qualunque società: al centro ed ai margini, poi il muro e le montagne, come se gli ostacoli naturali non fossere bastevoli, e le basi, metro di tutte le cosiddette civiltà: il diritto allo studio ed alla salute.

Damiano Bianca,
Pasqua 2005.

“al centro”

“ai margini”

Gente di Palestina

di Flavio Fusi

Hebron e’ uno scroscio di pioggia livida, bambini che giocano nel fango, case sventrate e porte sbarrate. Le immagini raccontano esclusione e proibizione. Al centro, il quartiere-fortino dei coloni israeliani, ai margini la citta’ palestinese, che cresce nel caos della poverta’. Appunto: il “centro” e i “margini”: la geografia essenziale di una terra divisa. Le buone foto suggeriscono, non sono uno specchio, ma piuttosto uno sguardo periferico, una cortina che nelle sue trasparenze racconta e lascia indovinare sensi e significati. Nelle buone foto di Claudio Lombardi il segno rivelatore e’ di volta in volta il muso di una jeep dell’ esercito israeliano, un gesto apprensivo, una strada vuota: frammenti che suggeriscono la violenza di cui e’ impastato l’ intero paesaggio. Esclusione e proibizione, “centro” e “margini.” Il centro e’ il quartiere proibito di Hebron, e il “centro del centro” e’ Gerusalemme, un volo di uccelli nitido sul profilo della cupola di Al Aqsa, il bambino che punta al cielo un fucile giocattolo, il volto di Madonna di una madre ebrea che sceglie i fiori, le giovani in divisa che scherzano e sorridono alla telecamera come ragazze in gita scolastica. Il “centro” sono le pietre antiche del muro del pianto, gli uomini in preghiera, e i sacri gesti che si ripetono da generazioni. I “margini” sono tutto il resto: un popolo strappato alla sua terra, che si ostina a vivere, crescere, sperare e disperare. I bambini con i loro giochi infantili che riempiono le strade sconnesse, i campi profughi che sono ormai sterminate citta’ dell’ esclusione, cresciute su se stesse e sulla loro poverta’. Villaggi di frontiera, dove la frontiera spacca strade e quartieri, campi e montagne. Villaggi che potrebbero essere in qualsiasi periferia del pianeta, se non fosse per i segni che l’ obbiettivo sceglie nel contesto: una mano alzata in segno di vittoria, il manifesto di un giovane Arafat, la foto dilavata di un martire in posa con il suo kalasnikov. Segni che suggeriscono la tragedia: vite perdute, il sangue innocente portato a sconvolgere il “centro”. E altro sangue portato ai “margini” per vendetta: case sventrate, lutti e pianto e rabbia. Quando l’ obbiettivo sceglie gli spazi aperti, ecco antiche e nuove barriere. Le montagne brulle, solcate da strade di terra. E – improvvisamente – il muro: una metafora di duro cemento. L’ opera innalzata per dividere , la lucida parete che serpeggia tra scarpate e campagne. Ma all’ ombra del muro – ancora una volta – cresce una ostinata volonta’ di sopravvivere. Le “basi” che non possono essere estirpate. Bambini a scuola, leggere e scrivere, un maestro che insegna davanti a banchi sconnessi. E poi ospedali, con il loro carico di dolore e solidarieta’. Donne che vegliano, infermieri in camice bianco, squallide camerate. Anche le medicine, qui, devono passare barriere e posti di blocco. In questa terra di esclusi, di divieti e di paura, ogni giorno si combatte la battaglia eterna della negazione e della vita. Anche queste foto ci dicono che vince la vita, nonostante tutto.

Flavio Fusi

“il muro e le montagne”

“le basi”

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