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Belli & Dannati

17 Febbraio 2001

di Sissi Aslan

dal catalogo di “Esercizi di simulazione” di Damiano Bianca

“La bellezza è un concetto molto astratto. Il corpo umano, così come lo rappresentavano i pittori medievali, era angoloso, ascetico, emaciato e lungo; con il Rinascimento la forma umana si arrotondò sensibilmente e con il rococò acquistò in rotondità quello che prima aveva in lunghezza” (Sidney Allan, in Camera Work, 1903).
Il riflesso della bellezza, concetto astratto, e dello zeitgeist, lo spirito del tempo, confortano la mente assai più di quanto l’occhio umano possa decrittare. La lettura di un gesto, di una espressione, di un sottinteso, si esprimono attraverso una serie di segni, colori, chiaroscuri, che difficilmente, anche l’uomo fruitore del 2000, già ampiamente virtuale e cyber è in grado di annotare senza l’ausilio del mezzo meccanico. Già il mezzo meccanico.
La macchina fotografica, e prima la camera oscura (questa già dal IX secolo – l’astronomo arabo Al-Kindi consigliava l’uso della camera oscura in un trattato noto nella traduzione latina di Gherardo da Cremona, del XII secolo), permette una capacità reale di particolari, una lettura precisa dell’immagine. Tanto che dal XIX secolo in poi la stampa fotografica e l’immagine pittorica (o la stampa incisa) si sono scambiati gli spunti iconografici, tecnici, i tagli prospettici e quant’altro.
La questione naturalmente non è se la fotografia è arte o se l’arte debba servirsi della fotografia, querelle superata e digerita per lo meno da coloro che operano nell’uno e l’altro campo sinceramente e senza pregiudizi. La questione è semmai relativa ad un problema che occupa tutto il fare artistico, si può aggiungere qualcosa di nuovo alla tecnica e alla forma? E’ ben evidente che una domanda di questo tipo presuppone dei limiti all’arte, o non li presuppone affatto. In ciò, appunto, è la querelle. E Damiano Bianca sembra rispondere, a modo suo, con il recupero di antiche tecniche di stampa, dando nuova dignità artistica, semmai ne abbia bisogno, alla fotografia, con l’apporto di una manualità aggiunta a quello che si è voluto individuare con il concetto di rapporto emozionale, suo verso l’oggetto ripreso. Marius de Zayas scriveva, nel 1913, che il fine della fotografia “è quello di scoprire e di determinare l’oggettività della Forma, vale a dire, quello di pervenire alla natura primaria del fenomeno della Forma; fenomeno che guidato dalla mente umana, dà origine ad emozioni sensazioni ed idee. La differenza fra fotografia e fotografia artistica è che nell’ una l’uomo cerca di cogliere quell’oggettività della Forma da cui scaturiscono le diverse concezioni che egli ha della Forma stessa, mentre nell’altra egli si serve dell’oggettività della Forma per comunicare un’emozione. L’una è un processo di registrazione della realtà, l’altra uno strumento espressivo”. La soggettività, quindi, del fotografo-artista, ha un valore eccelso nella rappresentazione dell’oggetto, anche quando, come dice Zayas “riveste l’oggettività di un’idea, vela l’oggetto con il soggetto“ ed il suo fine ultimo è il piacere, non la conoscenza (oggettiva e pura).
I BeIli&Dannati di Damiano Bianca sono a metà tra una realtà oggettiva e una realtà emozionale. Riflettono una forma, è vero, ma sono lo specchio della loro interiorità. Belli nella forma ma dannati nella rappresentazione empatica dei pensieri, delle emozioni, delle inquietudini, dei vizi, degli atteggiamenti, dei narcisismi. Che è questo ciò che Damiano Bianca ha realizzato, una galleria di ritratti dove non c’è spazio per le celebrazioni, dove l’uomo è quel che è, rappresentato pienamente in uno stato di conoscenza emozionale trasmessa attraverso la visione individuale ed intimista di un artista.
I ritratti, dai pittori agli scultori, dagli scrittori ai poeti, dai registi ai personaggi della musica jazz, rappresentano indubbiamente la bellezza, la cultura, il mantenimento di una realtà storica che trasmigra dal contemporaneo di un individuo alla società; i creatori, però, nell’immaginario collettivo, assai spesso incarnano vite scellerate, trasgressive, out, quindi dannate. Il ritratto fotografico, può suggerire, in questo senso, o fermare, l’espressione momentanea rivelatrice del carattere della persona, anche quando l’immagine stampata è debitrice alle altre arti delle positure o delle ambientazioni. Si vedano la pittura, il cinema o la pubblicità. Solo un artista, quindi, colui che si esprime attraverso le proprie emozioni, può esprimere la propria individualità, e quella altrui, attraverso il mezzo tecnico. Si realizza la sintesi sublime di un’idea. Si pensi, e non si parla solo di ritratti, all’infinito debito che la pittura e la scultura contemporanee, quelle delle avanguardie, hanno verso la protofotografia. Muybridge e Marey, con i loro studi spaziali del movimento, di un uomo che corre o di un cavallo al galoppo (il primo), di una traccia lasciata sulla lastra da un uomo che cammina (il secondo), hanno aperto le porte a Balla, Russolo, Boccioni, Duchamp o al Bauhaus, fino a Bacon e alla Pop-art, che hanno sempre vantato i loro etimi fotografici.
E non è neanche un caso che i primi sperimentatori siano stati proprio i creatori d’arte; Daguerre, Talbot e Niepce erano pittori, litografi e incisori.
E’ forse in questo contesto che vanno viste le immagini fotografiche di Damiano Bianca. Il recupero che fa delle antiche tecniche di stampa, ai sali ferrici e alla gomma, consente di stabilire il passaggio, troppe volte dimenticato, tra la fotografia oggettiva e quella, fascinosa, emozionale. “Il problema del fotografo pertanto è di vedere chiaramente quali sono i limiti e quali le potenzialità del mezzo – scrive Paul Strand nel 1917 – poiché è qui infatti che onestà ed intensità di visione risultano essere i requisiti primi di ogni espressione vitale. (…) E’ nell’organizzazione di questa obiettività che si esprime il punto di vista del fotografo verso la vita; è questo il momento in cui la concezione formale che nasce dalle emozioni e dall’intelletto (o da entrambe), è assolutamente necessaria al fotografo prima di scattare la fotografia, quanto lo è al pittore prima di mettere la mano alla tela”. E non è solo questione del mezzo o della tecnica di ripresa! Nel nostro caso si tratta anche, e prepotentemente, di scelte di stampa e di carte, pregiate e fatte a mano.
La gomma su platino, usata per i ritratti di Adonis, di Ennio Calabria, di Mario Verdone e di Valentino Zeichen, in quest’ultimo foglio il fondo è freddato, rispetto alla
figura, dalla sovrastampa alla gomma con pigmenti di blu di ftalocianina, ha permesso di dare all’immagine una luminosità rara impossibile con un unico procedimento di stampa.
Mentre la luce, e non la luminosità, è il fattore modellante esclusivo dei platinotipi di Carlo Ludovico Bragaglia, di Chiara Civello, per la quale l’uso di un fondino giallo contiene l’immagine, l’unica bordata, di Ugo Pirro, di Mario Raja, di Dino Risi e di Edoardo Sanguineti.
Scriveva George Bemard Shaw, a proposito dei platinotipi di Evans, nel 1903, che “anche il particolare più in ombra negli angoli bui è disegnato così delicatamente dalla oscurità come i raggi del sole che piovono dalle finestre e dalla porta sono disegnati dalla luce”. Nelle stampe al platino, secondo i consigli di Stieglitz e Keyley, i più famosi stampatori in questa tecnica, di inizio secolo, lo sviluppo viene applicato, dopo l’esposizione, a pennello con varie diluizioni con varie formule atte ad ottenere il controllo delle densità e a consentire valori interpretativi. In questi casi l’uso della glicerina è necessario per allungare i tempi di reazione dello sviluppo che altrimenti potrebbe durare solo poche decine di secondi. La nettezza dei bianchi e dei neri, specifici della stampa al platino, può essere interrotta di successive sovrastampe (peraltro molto simili, nel concetto, alle diverse morsure o ai diversi stati d’edizione di un’acquaforte) come quella al palladio che riscalda, con mezzi toni, il volto di Pirro. L’intervento personale è, poi, non solo nella scelta e nella maestria tecnica di stampa, ma, si è già accennato, nella individuazione e manipolazione dei supporti. Quasi tutte carte Arches Velin, Blanc Infini (100% cotone), hanno sopportato, a volte, stress chimici che sottolineano i segni espressivi delle emozioni ritratte. E’ il caso della platinotipia di Sanguineti, dove la carta (Khadi Tea, 1000/o cotone, fatta a mano) diventa parte complementare interattiva del volto del poeta.
Le sovrastampe alla gomma su palladio, quella di Bragaglia (unico personaggio riproposto una seconda volta e fotografato nel giorno del suo 99mo compleanno, nella sua abitazione) è senz’altro fra la più raffinata fra le tante tecniche di stampa. Le sensibilizzazioni al platino e al palladio presentano la massima resa nei toni alti, mentre la gomma consente stacchi netti nelle ombre oltre che plurime sfumature cromatiche.
Altro tipo di stampa usata dal Bianca è la callitipia. Si tratta, secondo una formula personalizzata e proposta dall’autore stesso, di applicare a pennello il sale che fornisce il colore dell’immagine sulla superficie sensibilizzata ed esposta. L’uso di diverse soluzioni di nitrato d’argento consente variazioni cromatiche e, come nel caso del callitipo di Mario Lunetta, una forte granulosità che sottolinea vigore e robustezza concettuale all’immagine.
Qualità che troviamo con diversi pesi nelle altre callitipie, quelle di Beate Springorum (secondo la variante di Namias), di Tony Scott e di Amelia Rosselli (queste due dette anche stampa bruna o Vandyke).
Scriveva Robert Demachy, a proposito della gomma, alta grande famiglia di stampe, che “Anche se è massima comune a tutta la letteratura fotografica che la fotografia non deve assomigliare alle arti grafiche, devo dire che i risultati migliori che ho visto nei procedimenti alla gomma – le opere di Steichen, Puyo, Watzek, Kuehn mi hanno sempre fatto pensare a raffinate incisioni, a bellissime acqueforti, a bellissime litografie, a bellissimi disegni acquarellati. La ripetizione dell’aggettivo è intenzionale, poiché non si prende mai in dovuta considerazione il confronto fra i procedimenti artistici tradizionali e la fotografia. Ci sono infatti migliaia di incisioni, litografie e disegni acquarellati che sono privi di valore estetico quanto una qualsiasi scadente stampa alla gomma. Naturalmente mi riferisco soltanto alla bellezza dei neri più scuri, alla delicatezza dei mezzi toni e alle sfumature di colore indipendentemente dal soggetto o dalla composizione, dato che questi non hanno niente a che vedere con quanto veniamo via via dicendo. Ma devo anche aggiungere che, quando parlo dei neri meravigliosi, non mi riferisco alle tonalità più intense, ma alle ombre le quali, qualunque sia la loro intensità, danno l’idea della profondità e non semplicemente della superficie piatta della carta nera. L ‘iniziato, o forse chi è un po’ folle, è una questione di termini, proverà un immenso piacere nel contemplare le ombre delicate di un nero profondo e trasparente indipendentemente dalla forma. Credo di essere anch’io un po’ pazzo; una bella macchia di inchiostro di china su una carta bianca e morbida, infatti, mi interesserà più di una elaborata stampa al bromolio. “ (1904)
Le gomme di Bianca, per i ritratti di Billy Cobham & Mum, di Ilario Ciaurro, Dakar, Iris Draber, Maurizio Giammarco, Cinzia Gizzi, Steve Grossman, Dave Liebman, Edolo Masci, Umberto Mastroianni, Claudio Rendina, Ettore Scola, Cecil Taylor, Massimo Urbani, Natan Zach e Giuseppe Zanini sviluppano una composizione precisa e predeterminata di stampa nella quale la variabile di sovrapposizioni, da 2 fino a 8, incide sulla variabile dei toni e dei loro rapporti, sulle infinite sfumature pittoriche e sulla esecuzione, emozionale più di altre, fattori che rendono la stampa fotografica alla gomma un evento artistico unico e irripetibile, dalle grandi possibilità offerte di personalizzazione. Questa stampa multipla consente, quindi, di costruire l’immagine strato dopo strato, si possono controllare così i toni e i contrasti fino alla soddisfazione piena ma difficilissima del risultato finale voluto. La sintassi comune della gomma è quella di pigmenti scuri su carte chiare; nelle stampe di BilIy & Mum e di Massimo Urbani i pigmenti chiari su carte scure (le Roma colorate della Fabriano) ribaltano completamente la lettura canonica dell’immagine fotografica. Mentre la delicatezza e i caldi grigi di Maurizio Giammarco sono ottenuti grazie ad un falso monocromo; la stampa multipla con 6 sovrastampe, utilizza 3 pigmenti colorati (nero avorio rosso di cadmio porpora e blu di ftalocianina) che, stesi in successione, staccano i dettagli per minimi contrasti di colore. Simili toni caldi Bianca li ottiene anche nella stampa che ritrae Claudio Rendina con pigmento al nero avorio e rosso di cadmio porpora, sensibilizzazione a pennello e varie tecniche di sviluppo, attraverso le 4 sovrastampe della gomma.
L’opulenza cromatica della gomma multipla, con 8 sovrastampe e tricromia di selezione, dell’immagine di Edolo Masci è dovuta, particolarmente, alla mancanza della battuta del nero, aprendosi, quindi, completamente alle sfumature del verde tonale. I pigmenti usati, il blu di ftalocianina il rosa tino e il giallo di cadmio chiaro, con sensibilizzazione a pennello e aerografo, li ritroviamo nel ritratto di Ettore Scola (con l’aggiunta del nero avorio). Qui e in quello precedente, la selezione dei colori è avvenuta manualmente, evento che proviene dalla protofotografia. Non so se la scelta della stampa a colori per questi ultimi personaggi sia data da motivi estetici di particolare significato, certo è che il rapporto tra Damiano Bianca e Edolo Masci, sopravanza di gran lunga il rapporto tra fotografo e pittore o quello, pur anche importante, tra due amici; i due, in realtà, hanno avuto e hanno un rapporto simile a quello tra maestro e allievo dove Masci ha incoraggiato il fotografo ad esprimere tutte le sue potenzialità suggerendogli l’uso di pigmenti (quelli che si usano in pittura) e promuovendo, nell’ambiente romano, una sua mostra di ritratti. Questa, appunto.
SISSI ASLAN

Lucina, settembre 1995

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